26 Ottobre 2022 | Alberto Mattei
Nomadi Digitali: Smettiamola di Chiamarli Turisti
Basta con questa etichetta superficiale e riduttiva. I nomadi digitali non sono turisti, sono un'opportunità di rinascita che l'Italia aspetta da decenni.
Prima di tutto, chiamiamoli con il loro vero nome: Nomadi Digitali
Basta con i tentativi maldestri di addomesticare un fenomeno globale con etichette fuorvianti come “turisti digitali” o “navigatori digitali” – quest’ultimo proposto da un Ministro che si sta progressivamente avvicinando alla comprensione delle profonde trasformazioni di questo nuovo modo di vivere, lavorare e abitare la contemporaneità, ma che forse ancora mostra una certa diffidenza ad abbracciare il termine “nomadi digitali”, quasi temesse la portata rivoluzionaria di questa nuova modalità esistenziale.
Il nomadismo digitale non è un’opportunità per destagionalizzare il turismo. È molto di più: è un modo radicalmente nuovo di immaginare il modo di vivere, lavorare e abitare nel XXI secolo. Non si tratta di riempire alberghi e B&B nei periodi di bassa stagione, ma di ridisegnare completamente il concetto di spazio, lavoro e comunità.
L’Associazione Italiana Nomadi Digitali non è solo un network di nomadi digitali, professionisti, docenti e ricercatori universitari, ma un vero e proprio “osservatorio strategico” che sta provando a documentare con rigore scientifico la portata trasformativa di questo fenomeno.
Attraverso studi accurati e ricerche approfondite, stiamo dimostrando che il nomadismo digitale non è un trend passeggero, ma un’opportunità concreta di sviluppo economico, sociale e demografico per l’Italia.
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“Terzo Rapporto sul Nomadismo Digitale in Italia (2023)“
“Secondo Rapporto sul Nomadismo Digitale in Italia (2022)“
Come presidente dell’Associazione, ho avuto di recente l’opportunità di portare questa visione direttamente al cuore delle istituzioni. Durante la 41a assemblea nazionale dell’ANCI, su prezioso invito della Dott.ssa Lara Panfili – brillante e visionaria direttrice del progetto ANCI P.I.C.C.O.L.I. – raccogliendo il grido d’allarme dei piccoli comuni italiani, che stanno affrontando un tracollo demografico senza precedenti, con una drastica riduzione della popolazione in un arco temporale brevissimo. Una vera e propria emorragia che rischia di dissanguare l’intero assetto territoriale del Paese.
Di fronte a una platea di sindaci di piccoli comuni italiani, ho lanciato una sfida culturale:
“Smettiamo di considerare i territori marginalizzati del nostro Paese come luoghi intrappolati nel passato, simboli di arretratezza da preservare e valorizzare trasformandoli in attrazioni folcloristiche per turisti – spaghetti, chitarra e mandolino, per intenderci! – e cominciamo invece a vederli come dei veri e propri laboratori di innovazione e di futuro.
Questi luoghi, in risposta ai grandi cambiamenti tecnologici, lavorativi, climatici e geopolitici in atto, possono rappresentare un’opportunità unica per rispondere alle mutate esigenze dell’abitare con-temporaneo di milioni di persone nel mondo!
Luoghi capaci di offrire dimensioni autentiche, contatto con la natura, dove il tempo rallenta e le relazioni umane ritrovano profondità. Spazi in cui l’innovazione si sposa con la tradizione, restituendo centralità al benessere umano e offrendo un’opportunità a chi cerca una vita più sostenibile, autentica e a misura d’uomo, lontano dai grandi centri urbani.”
La differenza non è solo semantica, è una vera e propria rivoluzione sociale e antropologica
Mentre i tentativi istituzionali si perdono in classificazioni burocratiche, i nomadi digitali stanno già ri-inventando l’esistenza. Un imprenditore a Bali, un designer in un borgo della Calabria, un project manager in un paesino dell’appennino – non sono turisti che passano, sono abitanti temporanei che generano valore ovunque si trovino.
Ecco una testimonianza reale:
Un nomade digitale non è un visitatore, ma un nuovo tipo di cittadino globale che sfida ogni concetto tradizionale di appartenenza territoriale. La sua scrivania è ovunque ci sia una connessione a Internet a banda larga, il suo ufficio il mondo. La sua casa è una comunità accogliente e ospitale in cui riconoscersi, un luogo dove sentirsi a casa anche se lontano da casa!
I nostri piccoli comuni possono diventare ecosistemi rigenerativi capaci di attrarre questa nuova generazione di professionisti globali. Non più solo turisti on-demand, ma comunità resilienti che uniscono ruralità e innovazione. Luoghi dove professionisti, studenti, creativi e nomadi digitali possono trovare una dimensione umana: creatività, flessibilità professionale, benessere e contatto con la natura, in uno scambio equo e sostenibile con gli abitanti e la comunità locale.
L’Italia ha di fronte una scelta cruciale
continuare a guardare questo fenomeno con la miopia di chi cerca solo di destagionalizzare i flussi turistici e riempire letti nelle strutture ricettive, o comprenderlo come un’opportunità di ripensare in chiave termporanea e contemporanea il modo di vivere e abitare i nostri territori!
I vantaggi sono dirompenti:
- Rigenerazione di aree interne abbandonate
- Creazione di ecosistemi di innovazione diffusa
- Valorizzazione di patrimoni territoriali dimenticati
- Attrazione di talenti globali
- Costruzione di nuove comunità transnazionali
Serve una rivoluzione culturale prima ancora che normativa.
Servono politiche che guardino ai nomadi digitali non come una risorsa per alimentare l’industria turistica, ma come protagonisti di un nuovo modello di sviluppo territoriale.
Mentre un turista scatta selfie davanti a monumenti, il nomade digitale sta trasformando luoghi dimenticati in comunità globali di talenti. Quando un viaggiatore consuma un gelato a Roma, un professionista digitale sta rivoluzionando un’economia locale dal suo laptop, connesso da un’area rurale o da un paese sperduto del nostro appennino!
Questo non è un sogno. È già realtà in molte parti del mondo. E l’Italia può essere all’avanguardia di questa rivoluzione.
Chiamarli turisti è un errore strategico. Sono molto di più: sono gli architetti di un nuovo modo di abitare, vivere, lavorare, connettersi.
Siamo di fronte a una rivoluzione silenziosa che ridisegna i confini del lavoro, dell’abitare, dell’esistere. I nomadi digitali sono i narratori di un futuro già presente. Sono pionieri di una nuova geografia umana dove l’Italia può diventare non il loro museo, ma un laboratorio globale di opportunità per arricchirsi di storia, cultura e tradizioni che li renderebbe profondamente umani e straordinariamente ricchi di un patrimonio che va oltre il digitale. Sono la rivoluzione che nessuno aveva previsto. E l’Italia può essere il loro palcoscenico di rinascita.