23 Luglio 2019 | Claudia Landini
Trainer Interculturale: Una Possibile Professione per Nomadi Digitali
La figura del trainer interculturale attualmente trova applicazione in tantissime sfere, e probabilmente questa tendenza continuerà a crescere con l’aumento della mobilità. Ecco chi è e che lavoro svolge.
Collaboration Connection Team Brainstorming Unity © Shutterstock
Nel gruppo Facebook del sito che gestisco da anni in supporto alle donne espatriate e alle loro famiglie, recentemente un membro ha chiesto in che misura atteggiamenti e comportamenti propri del paese ospitante e diversi da quelli della nostra cultura d’origine, influiscono sul rapporto con il paese e sul benessere di chi ci vive da straniero. Ne è seguita una discussione accesissima su tutti i modi di fare che, da italiane, non sopportiamo, ci irritano, feriscono, stupiscono, offendono. E la lista era davvero lunga!
Da anni lavoro come trainer interculturale, e sono abituata a riconoscere lo shock che prova una persona di fronte a un atteggiamento che non riesce assolutamente a classificare, o che è talmente in contrasto con i propri valori, da intaccare il rapporto stesso con il paese, o da non permetterle di instaurare rapporti arricchenti con i suoi abitanti. E suggerisco sempre due vie, per alleggerire l’impatto di questi atteggiamenti differenti.
La Prima:
Riflettere su quanto la nostra cultura sia radicata in noi e guidi le nostre scelte
Una cultura altro non è che un insieme di codici, regole, sentimenti non scritti che regolano la vita di un gruppo (che può essere una nazione, una classe di scuola, un gruppo di lavoro, insomma qualsiasi assembramento di persone che ruotano intorno a uno scopo o contesto comune). Per conoscere e capire questi codici c’è un solo modo: vivere dentro quella cultura.
Quando nasciamo in un determinato paese, cominciamo a respirare le “emanazioni” di questi codici fin dalla culla.
Genitori che ci fanno dormire nel letto con loro o rigorosamente in una stanza separata, che permettono che gli estranei ci tocchino oppure no, che ci spiegano sempre le cose oppure ci redarguiscono senza spiegazioni, creano la nostra struttura identitaria, legata alla determinata cultura di cui loro e noi facciamo parte.
Noi veniamo plasmati in maniera molto, molto profonda da questo “imprinting” e ce lo portiamo dietro, volenti o nolenti, per il resto dei nostri giorni.
Questa è la nostra corazza culturale, l’unica che conosciamo fino a quando non decidiamo di aprirci a culture diverse, e per noi è quella giusta in assoluto, quella che non fallisce, quella che ci guida da quando siamo nati e che ci dice cosa va fatto e cosa no.
Tutti gli esseri umani l’hanno. E’ come un’invisibile aura che ci accompagna in tutte le nostre scelte – dare la mano o un bacio, scostarci se qualcuno si siede troppo vicino a noi in bus, dare l’elemosina o no, etc.
Una persona che nasce in un ambiente culturale molto diverso dal nostro ce l’ha, e agisce e pensa in base a una struttura differente dalla nostra, ma non per questo sbagliata ai suoi occhi.
Riuscire a prendere atto di quanto le nostre strutture culturali sono radicate, profonde e totalizzanti, e capire che ogni essere umano parte dalla sua struttura, che può essere anche molto diversa dalla nostra, è già un grande passo avanti per attutire lo shock che certi atteggiamenti ci provocano. Invece di dirsi “questo non va bene”, provare a dirsi “questo è diverso”.
Ricorda sempre che perché una cosa è diversa, non è detto che sia sbagliata, e che comunque, indipendentemente dal giudizio personale che le dai, molto probabilmente è importante per un altro quanto fare una determinata cosa nel tuo modo è importante per te.
La Seconda:
Ricercare le comunanze invece delle differenze
L’altro suggerimento che do sempre in questi casi è di ricercare le comunanze invece delle differenze.
La cultura è formata da una miriade di valori, cioè metri di giudizio o cose in cui crediamo, che ci indicano come comportarci.
Non sempre però il comportamento palese, quello che vediamo con i nostri occhi e ascoltiamo con le nostre orecchie, ci rivela appieno qual è il valore che lo guida.
Una persona che mi chiede perché ancora non ho figli mi dà l’impressione di essere maleducata, rude, invasiva e inutilmente curiosa. Se mi fermo a questo, non vado molto lontano. Se invece provo a sospendere il mio giudizio e a domandarmi perché quella persona mi chiede proprio quella cosa, forse trovo delle risposte alternative, ad esempio: vuole mostrare interesse nei miei confronti, vuole farmi capire che si prende cura di me, vuole mettermi a mio agio, etc. Quindi magari il comportamento che esibisce è lontano anni luce da quello che farei io, ma il valore che la spinge è uguale al valore che condivido anch’io: interesse per le relazioni umane.
Potrei darti decine di esempi di questo meccanismo, ed è quello che faccio durante le mie formazioni. E dato che sei o vuoi diventare un Nomade Digitale, ne approfitto per spiegarti brevemente in cosa consiste il mio lavoro e perché è possibile farlo girando il mondo.
La figura del trainer interculturale attualmente trova applicazione in tantissime sfere, e probabilmente questa tendenza continuerà a crescere con l’aumento della mobilità.
Un trainer interculturale può lavorare per le aziende (formando manager e impiegati al lavoro in team interculturali), come free-lance per varie agenzie che lo impiegano nella formazione a persone in arrivo o gruppi aziendali multiculturali, in scuole, organizzazioni umanitarie, associazioni di accoglienza, e in generale in tutte quelle istituzioni dove la pratica dell’interculturalità è vista come un vantaggio, come free-lance nella proposta dei propri prodotti, o come ToT (trainer of trainers, cioè formando i formatori).
Io ho cominciato come free-lance creando i miei seminari per aiutare persone in arrivo in nuove culture, che è la cosa che più mi appassiona, e ho poi continuato lavorando per agenzie di relocation, formando singoli individui, coppie o famiglie in arrivo nei nuovi paesi.
Alcuni paesi sono mete che vedono un grande ricambio di espatriati, altri sono più statici, e questo cambia con il mercato e l’andamento economico, ma se sei un Nomade Digitale, può sempre capitarti di essere nel paese giusto al momento giusto, e sfruttare appieno le tue potenzialità come trainer interculturale.
E’ quanto è capitato a me in arrivo in Indonesia. Dopo una pausa un po’ forzata dall’interculturalità a Gerusalemme, mi sono ritrovata a lavorare molto a Jakarta per formare famiglie in arrivo.
In questo momento la tendenza si sta un po’ smorzando, e ci sono meno espatriati in arrivo, ma le agenzie che già mi conoscono e che sono sempre state contente dei miei servizi, mi fanno lavorare anche online per dare delle presentazioni sulla cultura indonesiana a clienti che ne hanno bisogno per i motivi più svariati.
Inoltre continuo a proporre le mie proprie formazioni a gruppi di donne che vogliono aumentare la propria competenza interculturale, senza contare che la mia formazione come trainer interculturale mi aiuta moltissimo anche nei miei programmi di coaching, dato che la maggior parte dei miei clienti sono espatriati sempre alle prese con la diversità e l’adattamento.
Come ci si Forma per Diventare Trainer Interculturale?
Happy students applauding to speaker after listening to her report © Shutterstock
Il mio consiglio è di buttarti sul mondo anglofono, dove la pratica della formazione interculturale è molto più avanzata e applicata che non in ambito italiano. Inoltre una certificazione anglofona ti permetterà di lavorare con più facilità e immediatezza ovunque ti trovi nel mondo, senza contare che sono le agenzie anglofone finora ad avere più bisogno delle figure di trainer interculturali free-lance.
Personalmente consiglio sempre un corso corposo (se possibile) per approfondire appieno i meccanismi della comunicazione interculturale.
Io ne avevo fatto uno bellissimo con l’Università di Firenze su Educazione e Pluralismo Culturale, che adesso purtroppo non esiste più.
Ci sono però dei corsi di laurea in relazioni internazionali e dei master molto interessanti, sia in territorio italiano, che al di fuori, ma anche online. Tuttavia non è tassativo frequentare un corso lungo e impegnativo per cominciare ad operare come trainer interculturale.
In campo anglofono esistono delle formazioni rapide (da tre giorni a due settimane), che forniscono una base molto buona, sulla quale ci si può poi perfezionare preparandosi da sé con un buon numero di letture. Di seguito ti metto dei link per cominciare a entrare nel discorso.
E’ un campo affascinante che ha il doppio vantaggio di fornirti degli strumenti professionali trasportabili e applicabili in molti contesti, ma anche di migliorare la tua competenza interculturale, cosa ormai indispensabile se si vuole essere veri cittadini del mondo.
Per formazioni veloci:
Se invece vuoi fare di questa carriera la tua sfera principale e prepararti con una laurea o un master, a livello italiano potrebbero interessarti questi (di cui però non posso garantire personalmente):
Spero di esserti stata minimamente di aiuto e di averti dato degli spunti interessanti su cui ragionare. Per qualsiasi domanda usa lo spazio nei commenti qui sotto e ti risponderò appena possibile.
Foto credit: Shutterstock